6. Urkunde zur Entstehungsgeschichte der Inquisition in Portugal; Italienische Information; die Familie Mendes-Naßi.

[528] Während die Inquisition in Spanien fast durch einen einzigen Federstrich eingesetzt wurde, kostete ihre Einführung in Portugal unter den Päpsten Clemens VII. und Paul III. viele Kämpfe, zog sich eine geraume Zeit hin und ist reich an Zwischenfällen, Intrigen, Minen und Kontreminen. Eine merkwürdige Illustration dazu geben die von Herculano größtenteils noch jungfräulich in Archiven vergrabenen mitgeteilten Urkunden. Eine Ergänzung dazu liefert der [528] italienische Bericht (Informationi), wie es scheint, eines in Rom residierenden venezianischen Gesandten oder Agenten vom Jahre 1564, vielleicht Girolamo Soranzo. Diese Informationi befinden sich handschriftlich in der Berliner königl. Bibliothek (Manuscripti Italiani Folio No. 16, ein starker Kodex, der mehrere Piecen enthält, von denen diese die 13te Piece ist). Davon hat zwar David Cassel eine hebräische Übersetzung gegeben (Kerem Chemed VIII, Anfang); sie verdienen aber im Original angesehen und beleuchtet zu werden. Die Casselsche Übersetzung leidet ohnehin an der Entstellung mancher Eigennamen und an einem irreführenden Druckfehler, daß Paulus III. die Marranen in Ancona gezüchtigt und verbannt hätte, einem Fehler, der nur durch Einblick ins Original berichtigt werden kann. Der italienische Bericht enthält außer der Entstehungsgeschichte der portugiesischen Inquisition noch manche wichtige Fakta, die anderweitig nicht bekannt sind. Doch muß manches in diesen Informationi berichtigt und präzisiert werden. Denn der Verfasser teilt dasjenige, was in Portugal vorging, nur vom Hörensagen mit und ist in betreff der Chronologie nichts weniger als genau.


Informationi sommarie del principio et progresso della conversione, che hanno havuto i Giudei nel Regno di Portugallo, et l'occasione che hanno dato in far mettere l'Inquisitione sopra di loro L'anno.

(Das Datum fehlt, aber im Texte ist das Jahr 1564 angegeben.)


Già LXV anni poco pin o meno il Re Don Emanuel di fe. me. di Portogallo converti li Giudei, che erano nei Regni suoi, alla nostra sancta catholica fede; i quali essendo Giudei erano poveri et dopo fatti Christiani diventorno ricchi, perche con il beneficio della fede si sono fatti Medici, Chirurgiei et Speciali et cominciorno a trafficare in ogni mercantia grande et piccola come gli altri Christiani: di maniera che l'acrescimento delle richezze et l'incredulità loro nativa cau sorno, che ritornassero al Giudaismo osservando secretamente nelle loro case tutte le cerimonie Giudaiche et insegnandole alli suoi figli et tenendo nella città di Lisbona una sinagoga, ove celebravano tutti gli oficij suoi, come fanno qui in Roma, et nientedimeno si confessavano et communicavano all' usanza dei Christiani; et molti di essi portavano il sacramento a casa sua secretamente et lo gettavano nelle stalle.

Nè volendo piu patir nostro signore Dio questo et molti altri che facevano alla fede catholica volse scoprire per mezo d'un di loro, chiamato dai Christiani Fermafede1), perche lui mori per la fede catol. come buon Christiano, il quale vedendo che tutti erano Gindei in secreto, scopri al Re Don Giovanni 3°, figlio di Don Emanuele, Re di Portogallo, per mezo d'un Theologo, chiamato Maestro Pietro Margaglio, il quale menò al Re il detto Fermafede et l'informò amplamente come passava la cosa. Et havuto consiglio sopra di questo si risolve il Re di metter l'Inquisitione nel Regno suo; et acciochè questo officio della Inq. si facesse ordinatamente, mandò qual medesimo Fermafede, per esser huomo di buon spirito et geloso della cathol. fede, all' Imperatore Carlo V.2), Re di Castiglia et d'Aragona, perche s'informasse del modo, que si haviesse a tenere in detta Inquisitione, la [529] quale il Re Don Ferdinando Catholico, suo Avo, havia ordinata in tutti li Regni suoi, intendendo come tutti li Marrani giudaizavano. Costui non puote cosi secretamente andare, et trattare il negotio, che non fusse scoperto dalli Marrani per mezo degli intrinsechi et consigleri del Re, li quali erano corrotti da ditti Marrani con oro et altri presenti a fine che li rivelassero li secreti, che si trattavano in materia dell' Inquisitione; et scoperto questo trattato providero di due Giovani Marrani gagliardi et aspettorno, che questo Fermafede fusse spedito per ritornarsene con l'Informatione et mandorni questi due Giovani fuori ad incontrarlo et incontrato gli tagliorno la testa et li pigliorno l'Informatione et tutte le lettere, che seco portava dategli dall' Imper. Carlo V. et poi se n'andorno in Portogallo et portarno questa testa agli Hebrei, over Marrani, et fecero sopra di questo grandissima festa et allegrezza.

Et trovandosi vicino à una terra questo corpo morto, la Giustitia fece diligenza et avvisò il Re, il quale fece fare inquisitione sopra di questa morte et ritrovorno li malfattori et presi li diedero la corda et confessorno ogni cosa; ai quali fu determinato questo per giustitia, che gli fussero tagliate le mani, poi che fussero tirati a coda di cavalli et che fussero squartati, et cosi fu fatto.

Di modo che per il successo di questo caso il disegno dell' Inq. (la quale havea animo il Re di mettere nel Regno suo) non hebbe allhora effetto et stette sospeso un poco di tempo; nel qual tempo accade che il Vescovo di Septa, frate Francescano, ritrovò nella terra di Olivenza sua diocesi cinque Marrani che giudaizavano et osservavano la legge di Moisè et processò contra di loro per Giustitia et li fece abrusciare, et il detto Vescovo andò al Re et essortò sua Maestà a mettere questa Inq., rinovando nella memoria del Re la morte di quello Fermafede, laquale insieme con li cinque Marrani, che il Vescovo havea fatto abrugiare, causò che il Re si risolve a supplicare a Papa Paolo 3° l'Inq. la quale fu concessa da s. santità3).

Et vedendo li Marrani esser concessa l'Inqu. contra di loro con paura d'essere abbrugiati, impetrorno dal Papa una perdonanza generale di tutte li crimini, che havevano commissi contra la nostra santa et cat. fede, fino al di che si publicasse la Bolla della Inqu. nel Regno di Portogallo.

Havuta la perdonanza et publicata la Bolla dell' Inq. stettero in paura due ò tre anni et non giudaizavano, ma dipoi, come nella verità fussero di natura Giudei et affettionatissimi alla legge di Moisè, redierunt tanquam canes ad vomitum suum et cominciorno di nuovo a giudaizare; ma fuorno scoperti per mezi della Inquisitione et molti di loro fuorno abbrusciati, et altri condennati a carcere perpetua, cosi nella Città di Lisbona, come in quella di Evora, di Coimbra, del Porto, di Tomar et di molte altre terre del Regno. Continuandosi poi l'Inquisitione per spatio di vij. ò viij. anni, nei quali furono abbrusciati et condennati molti, vedendo loro come la cosa passava, impetrorno dal Papa un'altra perdonanza generale di tutti li crimini suoi; di tal modo che quelli ch'erano in prigione furono liberati per virtù della detta perdonanza.

Et stando tutti con questa allegrezza della seconda perdonanza, che il Papa gli havea concesso, come che trionfavano contra i Christiani, [530] uno di loro chiamato Manuel da Costa4) il quale haveva un' offitio, che accommodava tutti quelli che cercavano padroni, mosso dal zelo della legge di Moisè, attaccò una notte una cedula sopra del Domo di Lisbona, nella qual cedula si conteneva, che'l Messia non era ancora venuto, et che Christo non era il vero Messia, allegando li Profeti, et le scritture. La qual cosa, veduta dalli Christiani, et al Re causò grandissimo scandalo; di maniera che il Re fece fare grande inquisitione et diligenza per scoprire, chi haveva fatto quella cedula et depositò nella mano di Luca Giraldi, Banchiero di Lisbona, Xm scudi à chi scoprisse il malfattore, ancora che fosse compagno nel delitto: Et il Nuntio che all'hora era in Portogallo chiamato Capo di ferro che poi fu il Card. San Giorgio, depositò anco lui Vm scudi in mano del medesimo Banchiero a requisitione di chi scoprisse quel delitto, molte persone sono state poste in prigione, delle quali si havea qualche sospetto, et si fecero molte processioni cosi de Preti, comede frati, et ancora de tutti, che pregavano Dio, che scoprisse li malfattori, et Dio hà voluto scoprire come hora dirò; ma avanti che si scoprisse li Marrani havendo paura, che il popolo non si levasse contra di loro, et li amazzassero come un'altra volta era accaduto, volsero incolpar gl'Inglesi in questo modo, i quali all'hora nuovamente s'erano fatti Lutherani, et attaccorno alle porte del medesimo Domo una cedula, che diceva così:


Io no soi Castigliano, ni Portughes,

Ma soi Ingles en che os pes

Diez mil dais vinti mil dareis

Y, no lo sabreis.


Nientedimeno si sospettava che gli Marrani havessero fatto questo, per che gl'Inglesi erano Lutherani et non Giudei; et facendosi la diligenza, et mostrandosi la lettera a molte persone fu' uno, che conobbe la mano di chi era questa lettera: et essendo posto in prigione costui, avanti che li fusse data la corda confessò d'havere scritto lui et così fu abbrusciato publicamente et tagliategli le mani. Non passorno molti giorni che l'Inquisitione scopri à Lisbona una sinagoga publica, dove loro facevano tutte le sue ceremonie al modo Giudaico, et furno abbrusciati molti et peniten tiati molti et la sinagoga fu' rovinata com' è hoggi dì ancora, perche i Re non han voluto che li si fabricasse in modo alcuno. Passato questo si scopri un nuovo Messia che fra loro s'era levato, il qual'era un Calzolaro, chiamato Ludovico Diaz5), nativo nelle terra di Setuval, il qual perche dava qualche intendimento falso alle scritture, ma à essi piacevole, diventò fra loro un grand'huomo, et dopo che acquistò riputatione disse, che lui era Messia, et lo persuade a molte persone, pero fu'adorato da essi; frà i quali che l'adoravano fu' un Medico del Card. Don Alfonso, fratello di questo Cardinale di Portogallo; il qual medico si chiamava Francesco Mendez6), et si circoncise per commandamento del Messia, essendo huomo di 37 anni, li quali furno tutti abbrusciati con il Messia. Passato questo tempo mai hanno mancato di giudaizare, perche ogni [531] anno abbrusciarano XX. XXX. XXXX. persone, et si penitentiavano più di 200. Et questo mese di Giugno passato di questo presente anno 1564 nella città di Evora fu'messo in prigione con assai molti altri, un medico chiamato Mastro Rocco, perche erano molti anni, che quando si communicava, portava il sacramento à casa sua et lo gettava nella stalla, il quale s'amazzò da se stesso in prigione per non esser' abbrusciato, ma abbrusciorno l'ossa. Per il qual rispetto molti se ne vanno in Turchia, dove publicamente sono Giudei: altri stanno in Ferrara, et vivano come gli altri Giudei; i quali al tempo di Ginlio tertio impetrorno da sua santità un Breve che potessero vivere come Giudei senza esser castigati, con falsa Informatione, che hanno dato a sua Sant. dicendo che loro furno fatti Christiani per forza, ma che sempre nell'animo suo furno Giudei et in questo modo stavano nella Città d'Ancona vivendo nella legge di Moisè; ma Paolo IV. sapendo come passava questa cosa, mandò un Commissario alla Città d'Ancona, et fece mittere in Galera et abbrusciare più di 80 persone. Ne è Città in Italia, dove non ci siano Marsani (l. Marrani) Portughesi, fuggiti dalla Inquisitione di Portogallo; i quali come diventano ricchi, perche trafficano in ogni cosa come Christiani, se ne vanno in Turchia dove avvisano il Turco di tutto quello che si fà di qui, fra i quali è una donna Portughese ricchissima, chiamata Madonna Brianda6), laqual è stata molto tempo à Ferrara et a Venetia come Christiana, et poi se n'andò in Turchia et maritò una figlia con un figliuolo del Medico del Turco, et vive nelle legge di Moisè lei et tutta la sua famiglia. Questo è tutto il discorso dal tempo che sono convertiti alla fide Christiana fino al presente anno.

Et per questo rispetto havendo Papa Paolo IV. informatione che i Marrani nelli Ordini dei frati erano potenti et ambitiosi, perche si avitavano dalli Marrani secolari nell'ambitione delle Prelature et altri officij, comandò per una Bolla sua, che nell'ordine di San Francesco nessun Marrano ottenesse nè Prelatura, nè officio nessuno, perche gli altri frati, che non sono Marrani si sdegnavano esser governati da loro, per il che ci erano molte divisioni, et scandali et seditioni nella Religione; et questa Bolla fù fatta nel anno 1557 overo 58. Laquale si trovarà nel Registro.

Einige Bemerkungen zu diesen Informationi werden manches in ein besseres Licht setzen.

1. Auch Herculano hat Nachrichten über Fermasede oder portugiesisch Firme-Fé gegeben (I, p. 195 ff.). Nach denselben war er ein Marrane und hieß eigentlich Henrique Nuñes. Seinen Tod setzt Herculano um Februar 1525 (das. Note). Laut einem hinterlassenen Schreiben des Firme-Fé war er ein Spion. Er schreibt selbst an den König: Sua Alteza deve ser acordado, que en la segunda audiencia, quando me mandô a Santarem, me mandô S. A. que me metiesse con ellos (Christianos-novos) e comiesse e beviesse e lo que mas se offereciesse, para que S. A. por mi fuesse enformado de la verdad (das. p. 199, Note).

2. Herculano weiß nicht (p. 200), wozu sich Firme-Fé nach Spanien begeben sollte. Nach dieser Quelle hatte er einen Auftrag für Karl V. in betreff der Inquisition, wovon die Marranen heimlich Kunde erhalten hatten. Auch [532] besteht ein Widerspruch zwischen der Quelle bei Herculano und den Informationi. Nach der ersten wurde der Spion in der Gegend von Badajoz auf der Hinreise, nach der letzten auf der Rückreise ermordet.

3. Die Informationi übergehen die Bulle Clemens VII. zur Bewilligung der Inquisition, die Suspension derselben, sowie alles, was seit 1531 in dieser Angelegenheit verhandelt wurde und springen bis zur Bewilligung der Inquisition durch Paul III., 23. Mai 1536.

4. Das Anschlagen einer blasphemierenden Proklamation in Lissabon kennt auch Herculano (das. II, 205 ff.), und er bestimmt das Datum Februar 1539. Nur kennt er nicht den Namen des Urhebers, Manuel da Costa, welchen nur die Informationi erhalten haben.

5. Das Auftreten eines marranischen Messias Ludovico Diaz und seines Anhängers Francisco Mendes ist erst vor 10. Februar 1542 vorgefallen, laut dem Berichte, welchen G. Heine davon gegeben hat (o. S. 264 f.).

6. »Eine sehr reiche portugiesisch-marranische Doña, Namens Brianda, welche längere Zeit in Ferrara und Venedig als Christin gelebt, dann nach der Türkei ging, ihre Tochter dort verheiratete und sich mit ihrer Familie zum Judentum bekannte«, eine solche kennen die reichfließenden Quellen jener Zeit durchaus nicht. Das Porträt paßt aber Zug für Zug auf Gracia Mendesia. Der Berichterstatter der Informationi hat auch keine andere im Sinne gehabt, als er ein Beispiel davon geben wollte, wie die Marranen mit ihren Reichtümern nach der Türkei zu gehen pflegten. Brianda ist ohne Zweifel ein Schreibfehler für Mendezia. So hieß Doña Gracia als Christin; ihr Gatte hieß Francisco Mendes, ihr Schwager Diogo Mendes. Es darf nicht auffallen, daß der Berichterstatter angibt, sie habe ihre Tochter mit dem Sohne des Leibarztes des Sultans vermählt. Auch der damalige französische Gesandte in Venedig war im Irrtum darüber und schrieb, das Gerücht sei verbreitet, die portugiesische Mendes habe ihre Tochter dem Sohne des Arztes Hamon, Leibarztes des Sultans, vermählt oder versprochen (Charrière, Négociations de la France, II, p. 101). Bis 1566 war Joseph Naßi, ihr Schwiegersohn, noch eine unbekannte Persönlichkeit in Europa; daher war man in Europa über ihn und sein Verhältnis zur Doña Gracia schlecht unterrichtet. Die eigentümliche Lage der Marranen zwang sie, verschiedene Namen anzunehmen. Die französischen Gesandten nannten Gracia zur Zeit, als sie noch in Venedig und Ferrara war, durchweg Mende oder la Mende portugaloise (bei Charrière das. und ebenso ihre Schwester: les deux sœurs portugaloises, nommées Mendés (das. 119).

Was den Namen ihres Gatten und ihres Schwagers betrifft, so hat sie Herculano aus einem Originalbriefe des Nuntius vom Januar bis März 1536 erhalten, wodurch wir auch Kunde von der Rolle haben, welche diese Familie zur Abwendung der Inquisition in Portugal spielte. Die Schwierigkeiten, welche der päpstliche Hof Pauls III. bei der endgültigen Bestätigung der Inquisition machte, ließ er sich von den Marranen mit schwerem Gelde bezahlen. Duarte de Paz verhandelte mit der Kurie darüber in Rom, und die angesehenen Marranen in Portugal hatten geheime Zusammenkünfte darüber mit dem Nuntius Marco della Rovere, Bischof von Sinigaglia, in Portugal. Als sich aber die Forderungen der nimmersatten Umgebung des Papstes immer mehr steigerten, die Marranen die hohen Summen nicht mehr erschwingen konnten, und sich über ihren Prokurator Duarte de Paz beklagten, daß er unerfüllbare Versprechungen [533] in ihrem Namen gemacht und sich an ihnen bereichert habe, wurde dieser häßliche Schacher am portugiesischen Hofe ruchbar, und der Nuntius bekam in Portugal die verlangten oder stipulierten Summen nicht. Aus Portugal abberufen, begab er sich nach Rom über Flandern, um das Geld von den dort wohnenden Marranen zu erpressen. Lassen wir nun Herculano oder vielmehr della Rovere sprechen (in seinem Schreiben von 1536): A ida a Flandres tinha (Marco della Rovere) por objecto falar com Diogo Mendes, o mais rico e respeitado hebreu português, e com a viuva de seu irmão, Francisco Mendes, a qual subministrára já a maior quantia para a solução dos 5000 escudos recebidos (Herculano l.c. II, p. 159). »Diogo Mendes, der reichste und angesehenste portugiesische Marrane in Flandern und seine Schwägerin, die Witwe seines Bruders Francisco Mendes«, man erkennt sie auf den ersten Blick; es sind Doña Gracia Naßi, ihr verstorbener Gatte, der sie zur Universalerbin seines großen Vermögens eingesetzt hatte, und ihr Schwager, der Teilnehmer des bedeutenden und ausgedehnten Bankgeschäftes war, wie sie aus den Responsen des Joseph Karo (לכור תקבא Nr. 80) und Samuel de Medina (II, Nr. 3 bis 8), durch M. A. Levys glückliche Kombination bekannt geworden sind. Im Jahre 1541 hatten die Marranen wieder bedeutende Summen für den Papst zusammengeschossen, und ihr neuer Sachwalter, Diogo Fernando Neto erhielt sie abermals durch Diogo Mendes: christão-novo riquissimo, estabelecido em Flandres (das. p. 321). Es wäre auch sonst sehr auffallend, daß Doña Gracia Naßi, welche so viel für »su nação portuguesa«, für die portugiesischen Marranen getan (wie Samuel Usque nicht müde wird, zu wiederholen), nicht mit ihren Reichtümern und ihrem klugen Rat an der Spitze der geheimen Agitation gegen die Inquisition gestanden haben sollte. Nebenher sei noch bemerkt, daß sie bereits 1535 Witwe und in Flandern war (der Brief des Nuntius ist Januar 1536 angefangen), woraus sich ein ungefährer Schluß für das Alter ihrer Tochter und des Joseph von Naxos ziehen läßt, und daß ihr Schwager Diogo Mendes noch 1541 gelebt hat. D. Gracia ist also nach 1541 nach Italien gegangen, und zwar zwischen 1541 bis 48; denn in diesem Jahre war sie bereits in Venedig gewesen, und wie es scheint, einige Zeit. Denn der französische Gesandte in Venedig, Mr. de Morvilliers, schreibt am 12. Juli 1549: L'ainée de deux Mendés, qui a l'entière administration de tout le bien, s'est, il y a sept ou huit mois, retirée (de Venice) avec sa fille à Ferrare souls sauf conduit bien ample qui lui a taillé Mr. le duc. Also gegen Ende des Jahres 1548 hatte sie bereits Venedig verlassen. In Ferrara hat sie sich ganz unzweifelhaft aufgehalten, wie hier der französische Gesandte in Venedig angibt, der doch gut unterrichtet sein mußte; auch die Informationi bestätigen es. Sie muß mehrere Jahre dort gelebt haben, nämlich von Ende 1548 und noch September 1552, als ihr Samuel Usque sein Werk Consolação widmete, bis mindestens 1. März 1553, als ihr Abraham Usque die spanische Bibel dedizierte. Das Lob, das der erstere ihr in der Widmung und im Texte (p. 231) erteilte, daß Gott sie zum Heile der flüchtigen Marranen gesandt, um sie aus Elend und Verzweiflung zu retten, ist aus Selbsterfahrung geflossen. Er und viele andere Leidensgenossen in Ferrara haben unmittelbar aus ihrer Hand Wohltaten empfangen. Wenn sich M. A. Levy (Joseph von Naxos, Note 42) auf Josua Soncin beruft, daß sie in Ferrara gar nicht oder nur kurze Zeit gewesen und unmittelbar von Venedig nach Konstantinopel gereist sei, so ist dieser Beweis nicht so schlagend. Soncin wollte bloß ihre Intention ausdrücken, daß sie Venedig verlassen, [534] um nach Konstantinopel zu gehen (Resp. Nr. 20): הפ אבל אייציניומ תרבגה העסנב 'טשוק. In dem folgenden Passus das. תאצל םינש 'ד ירחא ואצמ םירקמו תוערואמ הברה איילטיאב ועריא אייציניומ תרבגה ונמע ישנא תא המש, muß ein Zahlenfehler stecken. Die Kalamität, von der die Rede ist, betraf die Einkerkerung der Marranen in Ancona 1555. Es sind also 7 Jahre seit Gracias Abzug von Venedig bis dahin verflossen (nach Morvilliers Angabe). Es muß also heißen םינש 'ז ירחא. Man ist zu dieser Emendation genötigt, weil Soncin selbst das. angibt, ihr Neffe und Schuldner Agostin Enriques habe ihr 4 oder 5 Jahre regelmäßig Rechenschaft abgelegt, und zwar von ihrem Abgang von Venedig gerechnet, d.h. von 1548. Erst von dieser Zeit an habe er ihr die Bilanz verweigert. – Ihre Lebensdauer läßt sich auch dadurch einigermaßen ermitteln. Sie war 1535 bereits Witwe; 1565 bis 66 lebte sie noch, als Fürer von Haimendorf Tiberias besuchte (Reise ins gelobte Land, S. 278). Dagegen war sie 1568 wohl schon heimgegangen. Als nämlich Mose Almosnino die Leichenrede auf Josua Soncin hielt = 10. Nissan 1569, bemerkte er (Predigtsammlung חכ ץמאמ Nr. VIII, p. 64): שורדב הנהו ע"נ אישנ האיסארג תרמ תרבגה לע יתשרדש. Es scheint, daß sie die Rangerhöhung ihres Schwiegersohnes zum Herzog nicht erlebt hat, starb also um 1565 bis 66. Sie kann demnach im Anfang des Jahrhunderts geboren sein.

Ihre energische Teilnahme für die Marranen betätigte Doña Gracia bekanntlich nach ihrer Ansiedelung in Konstantinopel dadurch, daß sie Sultan Suleiman um Intervention anflehte gegen Pauls IV. unmenschliche Grausamkeit wider dieselben. Der zuverlässige Joseph Kohen tradiert das Faktum, nachdem er die Einkerkerung der Marranen in Ancona erzählt (Emek ha-Bacha p. 117): רתימ הלודג השא ילופוניטנטסנקבו .ול ןנחתתו ךלמה ןאמילוש לא ךלתו המש יצירטאיב םיסונאה ילוקב עמשו ישנא תא חלש רמאל לעילבד ולואפ לא חלשו. (Beatrice oder Beatrice de Luna war bekanntlich auch Gracias Name). Sultan Suleimans Schreiben an den halbtollen Papst Caraffa = Paul IV. infolge Gracias Petition hat die Briefsammlung Lettere di principi (Venedig 1581) T. III, p. 171 erhalten. Bei der Seltenheit des Buches teile ich die betreffende Stelle mit: »Soliman Sultan imperatore ... à Papa Paolo IV. Dipoi che haverete ricevuto il mio divo et imperial sigillo ... dovete sapere, che alcuni della generatione degli Hebrei hanno fatto notificare alla mia eccelsa ... Porta che essendo alcuni sudditi et trabutarii nostri andati nei paesi vostri et massimente in Ancona per traficar, le robe et facoltà loro sono stati ritenuti ad instanza vostra. Il che in particolare è di pregiudicio al tesoro nostro di 400 mila duccati oltre al danno, che nostri sudditi, quali sono falliti et non possono pagare le obligationi loro al detto nostro tesoro per conto di datii et commercii dei porti nostri, che essi havevano in mano. Percioè preghiamo la santità vostra, che secondo le virtù di questo universale et illustre sigillo nostro, del quale sarà portatore il secretario Cacciardo, huomo ... del Rè di Francia ... voglia esser contenta di librare li prefati sudditi ... nostri con tutta quella loro facoltà che havevano et si trovavano, acciochè possano satisfare al nostro tesoro sopra la ritentione di detti prigioni. Con questo ci darete cagione di trattare amichevolmente i sudditi nostri et il resto de' Christiani che traficano in queste bande ... L'ultimo della ... luna di Rambelachi l'anno del profeta 964 = 9 di marzo 1556. –

Für das Faktum von den auf Pauls IV. Befehl hingerichteten Marranen, [535] welches die Informationi erwähnen, sind gegenwärtig reiche zeitgenössische Quellen bekannt. S. o. S. 329 Note 1.

Die Geschichte Don Josephs, die mit der seiner Schwiegermutter Doña Gracia eng zusammenhängt, ist bereits von vielen Seiten aus den reichhaltigen Quellen beleuchtet. Hier seien nur noch nachgetragen zwei lateinische Briefe des Königs Sigismund August von Polen an ihn, von denen einer das Datum 1570 hat, wodurch Josephs Stellung und Einfluß noch mehr hervortritt. Diese zwei Briefe haben aus einem Archive abdrucken lassen Alex. Kraushar (Geschichte der Juden in Polen, historya Źydow w Polsce II, p. 318) und Mathias Berson (in Frankel-Graetz, Monatsschrift, Jahrg. 1869, S. 423).

1. Judaeo Nasi Sigismundus Augustus rex. Excellens domine amice noster dilecte. Redit ad felicitatem vestram Joannes Vancimulius Vincentinus pro expeditione negotii, per ipsum nobis enarrati, expectabimus nos ut communibus votis felices eventus respondeant.

Interimque procurabimus in promptu habere omnem illam summam quae ad centumquinquaginta millia suis temporibus exbursanda ascendit; Deus Optimus Maximus una cum suo Ministro transmittendo ad nos reducat, ut omnia hinc inde promissa adimpleri possint, ab eodem Celsitudo Vestra intelligere poterit, quam prompta sint voluntas nostra, et animi propensio erga illam tam espectu privilegiorum suo tempore confirmandorum quam cujusvis alterius officii praestandi, quod ab ipso Vancimulio plenius intelliget, quem illi pro securitate sua ex animo commendamus. Varsaviae, die XXV. Februarii.

2. Illustris Princeps amice noster dilecte. Gratissima est nobis egregia ista voluntas. Illustritatis Vestrae erga nos, quam nobis partim litterae Illustritatis Vestrae repraesentant, partim etiam renuntiant ii, qui istinc ad nos reverti solent. Quod cum ita sit, persuadere sibi debet Illustritas Vestra, paratos nos vicissim esse atque fore ad referendam parem gratiam Illustritatis Vestrae, quotiescunque se ejus declarandae occasio praebuerit. Nunc cum in negotiis nostris mitteremus istuc ad Excelsam Portam nobilem Andream Taranowski, internuncium nostrum, noluimus illum sine nostris ad Illustritatem vestram litteris discedere, postulantes ab Illustritate Vestra, ut si qua in re, in negotiis nostris, opere, officio, favore Illustritatis Vestra opus habuerit, sentiat sibi has Nostras litteras magno apud Illustritatem Vestram in rebus omnibus adjumento fuisse.

Datum Varsaviae, die VII Martii anno MDLXX.

Der Passus im ersten Briefe: »espectu privilegiorum suo tempore confirmandorum« deutet wohl an, daß Joseph von Naxos für seine polnischen Glaubensgenossen Bestätigung gewisser Privilegien verlangt, und daß der König ihm darin zu willfahren versprochen hatte.

Herr Halberstamm teilte mir mit, daß in einem Ms. seines Besitzes (Nr. 390) enthaltend Briefe von italienischen Rabbinen, angegeben ist, Joseph von Naxos habe an den König von Polen eine Gesandtschaft mit einem großen Gefolge geschickt. Die Notiz lautet: דחוימ ריצ חלש ה"רי אישנ ףסי 'מכ ךיא דוגרפה ירוחא יתעמש לודג דובכ ול השענו ומע םידבעו םירש םע אינולופמ ךלמה לא היה המ קסע תמחמ עדונ אל לבא ... ומע היה רשא םעה לכלו .ריצה םש

Die gesandtschaftliche Verhandlung zwischen dem König von Polen und der Pforte in dieser Zeit (1570) betraf die Wahl des Woiwoden für die Moldau, an welche beide Ansprüche und Interessen hatten. Von Polen wurde der [536] junge Bogdan unterstützt, die Pforte war aber gegen ihn eingenommen, weil sie wußte, daß er sich ihrer Souveränität völlig entschlagen wollte. Sie begünstigte dagegen einen Abenteurer Iwonia. Dem König Sigismund August lag aber so viel an Bogdans Bestätigung, daß er deswegen einen außerordentlichen Gesandten an den Sultan ernannte, und zwar Taranowski (vergl. Zinkeisen, Geschichte d. osman. Reiches III, 519). Von diesem Taranowski ist auch in dem zweiten Schreiben des Königs an Joseph von Naxos die Rede. Er wurde darnach angegangen, des Königs Vorhaben bei der Pforte zu unterstützen. Der Zweck von Josephs Gesandtschaft an Sigismund August ist mir unbekannt.

Zur Geschichte und den Plänen des Joseph von Naxos hat David Kaufmann einen neuen interessanten Beitrag geliefert aus einer Kollektion von Briefen und Sendschreiben, den er in Jewish Quarterly Review, (Vol. II, p. 305 ff.), mitgeteilt hat. Da diese Vierteljahrsschrift außerhalb Englands nicht allgemein bekannt ist, so dürften die Auszüge daraus, welche Don Joseph und die Geschichte der Juden des Kirchenstaates betreffen, nicht überflüssig sein. Es sind zwei Sendschreiben, das eine von der kleinen Gemeinde Core in Campanien an die italienischen Gemeinden, ihr, welche infolge der judenfeindlichen Bullen verarmt ist, Mittel zur Auswanderung zu spenden (Nr. 167), und das andere von der Gemeinde in Ancona, welche Beiträge für die Emigranten von Core empfiehlt und befürwortet (Nr. 168). Aus dem ersteren ergibt sich, daß die verarmte Gemeinde sich entschlossen hatte, samt und sonders auszuwandern, weil ein Aufruf von Joseph von Naxos an die Juden ergangen war, sich in dem von ihm neuerbauten Tiberias anzusiedeln. Gelegentlich wird erwähnt, welche Leiden die Gemeinden im Kirchenstaate durch die Bullen Pauls IV. und Pius V. erduldet haben. Retrospektiv referiert das erste Sendschreiben (p. 306): ופיקה יכ יהיו רויפיפה ןמזב ... תולועהו תורצהו תויסמהו םידוריטהו רעצה ימי .... לארשי לובג לא הקעצה הפיקה דואמ המ זאש יעיברה ולואפ דע ונדגנכ איצוהש אלובהמ וניניב דבע רשא השקה הדובעה ןמ וניראוצ לע וגרתשה ולע םיקחודהו .היחמ ונל ראשנ אלש וא ונתוא םישנועו וננוממ תא םילטונ ויהש ויראסימוקה תאיציב תא שדקלו לובסל חכ ודיב היה אל ימש ןפואב ,התימל וא אילגל ,וברש .l) וכראש דע השודקה וניתד םיריממ ויה םשה ראשנ אל םיראשנהו .איהה ןמזב םיריממה ובר ומכ ([sherabu] רשא האיינפמק תוכלמ טרפבו ... .םתרוצו םתיוג םא יתלב םהל .... הקלבמו האצש הקובמו הקוב ןמזה אב הזו .... הבותב ונריע .l) תאציש המוצעו השק אלובה ירדס לדוגמ רוראפ וצבק ונלכ ואיפ ונילע (רדסש .l) רדסיש םיסומנה יתד לכ םע (האציש ונילע ונב םירד ונחנאש םוקמ לכב וניתריצע יד אלש ישימח סומינה .... אילפה יכ דע .... םירגוסמו םירגוס תומוח ופיקיו אלו ןוזנה רבדמ אל םלועבש הרוחס םוש תושעל םיוכי ונא ןיאש רמל קותממ םלכ וכפהנ םימעהש םגה ...... םישדח םידגבמ ונמע לדתשהלו האנהו עויס םוש ונל תחל םהל רוסאש םרמאב הבר יכ םיונעו ירוק ק"ק תליפתו תקעצ הנהו ......... דצ םושב הלוגה ןמ תאצל .... םולש עימשמ רשבמ ילגר לוק ונילא הנהו ... תויה ול התיה 'ה תאמש ףסוי ןוד ונינודא ..... רשה אישנה .... תפומו תוא תושעל 'תי לא רחב וב רשא אירבט ץרא וריב הנותנ אירבטבש איה הלבקו .... ם"במרה קספש ומכ ונתלואג לע ןודאה אישנה ... ץראה ףנכמ ונעמש .... הלחת רוזחל םידיתע האיציניוב ןוגכ תומוקמ המכב רדסו סיכמ בהז ליזה ל"נה ש"כו .. רוסא רגסממ איצוהל ... םיעויסו תוינא הנוקנאבו לע ורבעו ועסנ םיבר יכ ונעמש םגו .... םדי הטמ רשא םידיחיל םירוהי םישנא שכבמ אוה יכ טרפבו . ז"נה אישנהו תולהקה עויס ..... הבושיב ץראה תא ןקתלו בשיל 'דכ תוכאלמ ילעב רודל אבל הפמ ונתעיסנ ןינע לע ..... ונתוחא החמש ותעומשלו .אירבטב 'זנה אישנה ןודאה יווצל םשה יפנכ לצ תחת

Der Entschluß der Gemeinde von Core, nach Tiberias auszuwandern, muß von ihr gefaßt worden sein, ehe Pius V. die Bulle erlassen hatte, sämtliche Juden des Kirchenstaates, mit Ausnahme von Rom und Ancona zu verbannen, [537] also vor Februar 1569. Aus einer Notiz, welche Herr Charles Dejob aus einem Schreiben eines Bischofs an den auf Judenbekehrung versessenen Kardinal Sirleto mitgeteilt hat (Revue d. Et., IX, p. 85), könnte man entnehmen, daß die Gemeinde von Core ungeachtet aller Vorkehrung zum Auswandern, doch den Entschluß nicht ausgeführt und auch den Ausweisungsbefehl illusorisch gemacht hat. Die Notiz lautet: L'évêque de Minor. se plaignait qu'en donnant de l'argent (les Juifs) tant à Rome qu' à Coré, ils eussent empêché l'exécution d'un arrêt qui les chassait de cette petite ville. Woher mag die verarmte Gemeinde Geld hergenommen haben, um in Rom hochgestellte Kirchendiener und in der eigenen Mitte die geistliche und weltliche Polizei zu gewinnen, das Verbannungsdekret unvollstreckt zu lassen? Die Gemeinde zählte nicht mehr als 200 Seelen, wie uns das Schreiben der Anconenser berichtet: ךס םפטו םהישנו םה תושפנ םיתאמ.


Quelle:
Geschichte der Juden von den ältesten Zeiten bis auf die Gegenwart. Leipzig 1907, Band 9, S. 528-538.
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